Ex-Manicomio di Volterra
STORIA
Nato dalle ceneri di un ospizio di mendicità per i poveri del comune, l’ospedale psichiatrico di Volterra vide il suo sviluppo a partire dal 1887 quando il Cavalier Aurelio Caioli, divenuto Presidente della Congregazione di Carità di Volterra, stipulò una convenzione con la provincia acconsentendo il trasferimento dei primi malati.
Nell’aprile del 1900 la Congregazione affidò l’incarico di psichiatra a Luigi Scabia che, stipulando nuove convenzioni, fece arrivare ulteriori malati rendendo necessaria la costruzione di nuovi padiglioni per poterli accogliere: nel 1939 i malati raggiunsero la quota massima di 4794 unità.
Tra il 1902 e il 1909 Scabia incaricò l’ingegnere Filippo Allegri di redigere un piano di sviluppo edilizio che rendesse l'ambiente più simile ad un villaggio autonomo, dove l’ammalato non doveva sentirsi rinchiuso fra quattro mura ma, piuttosto, libero di girare nei pressi dell’ospedale e nella campagna circostante e partecipe alle numerose attività lavorative ideate nella struttura; Scabia contribuì quindi in modo originale alle pratiche di ergoterapia, ossia la terapia del lavoro, cercando di preparare il malato al reinserimento, quando possibile, nella società. Nel 1933 venne addirittura istituita una moneta ad uso esclusivo dei ricoverati lavoratori per gli acquisti presso l’Ospedale psichiatrico.
Poiché anche la ricreazione aveva una funzione importante, veniva organizzato il «Carnevale dei pazzi», a cui prendevano parte malati, infermieri e personale sanitario.
Scabia attuò anche la terapia del no-restrainct, limitando (ma non abolendo) i mezzi di contenzione fisica del malato.
Nel maggio 1934, in seguito all’abbassamento dell’età di pensionamento, Scabia venne messo d’autorità in pensione e sfrattato e, dopo pochi mesi, il 20 ottobre 1934 morì in seguito ad una crisi cardiaca: volle essere sepolto nel settore del cimitero nel quale si seppellivano i poveri dementi non reclamati dalle famiglie.
I successori di Scabia si attennero alle sue indicazioni e, in linea con la terapia dell’ergoterapia, nel 1950 alcuni ricoverati parteciparono agli scavi archeologici di Vallebona portando alla luce la galleria di collegamento fra la gradinata del teatro ed il vestibolo che fiancheggia la scena.
Non era però tutto rose e fiori; se da un lato le pratiche del "no-restrainct" e dell'ergoterapia sostenute da Scabia tendevano ad umanizzare gli ammalati, vigeva comunque la legge n. 36 del 14 febbraio 1904, che favoriva un rigido custodialismo di stampo carcerario in cui i malati venivano di frequente sedati in vasche riempite di ghiaccio, rinchiusi in isolamento all’interno di piccole stanze o comunque maltrattati, talvolta ingiustamente: gli infermieri venivano chiamati “guardie” o “superiori”, le finestre dei reparti erano protette da sbarre che di notte venivano chiuse a chiave e le lettere che i pazienti scrivevano ai familiari non venivano considerate da parte dei medici ma semplicemente raccolte nelle cartelle cliniche. L’immagine tipo lager che oggi abbiamo di questi ambienti, con grida, crisi di disperazione e maltrattamenti, è frutto proprio della sopracitata legge e della sua severa applicazione.
Dal 1963 iniziò tuttavia una lenta trasformazione sociale che mirava ad una nuova gestione organizzativa e terapeutica di tipo comunitario, volta a rompere il verticismo che gravava soprattutto sul malato; con l'operazione culturale chiamata "Volterra ‘73” alcuni artisti italiani e stranieri occuparono una struttura e realizzarono un laboratorio artistico, punto di aggregazione culturale. Ma il manicomio non accettava ancora il cambiamento, tanto che si produsse una rottura con gli organizzatori della manifestazione.
A partire dal 1973 il Consiglio di amministrazione dell’Ospedale Psichiatrico di Volterra, attraverso un accordo politico sottoscritto dai partiti politici della città e dal Consorzio delle due provincie di Pisa e Livorno, pose le basi per un reale processo di superamento dell’Ospedale Psichiatrico grazie alla realizzazione di diversi Comitati di gestione mirati a combattere il centralismo istituzionale di primari e medici dell’Ospedale che volevano mantenere inalterato il loro livello di potere. Ma il tentativo fallì: si irrigidirono i medici e gli operatori ancora fedeli al vecchio modello istituzionale e si creò una vera e propria lotta interna che culminò con lo smantellamento dei Comitati.
Con la Legge Basaglia n. 180 del 13 maggio 1978, vengono finalmente riconosciute le pratiche alternative sperimentate negli anni precedenti, ma i problemi da affrontare furono da subito molteplici: i malato, dopo aver trascorso lunghi anni di internamento nell'Ospedale Psichiatrico non sono infatti più in grado di vivere in società. Furono allora realizzate quattro case-famiglia in cui gli ex-ricoverati, ora detti “ospiti”, potessero sperimentare una sorta di passaggio tra la totale chiusura all’interno dell’Ospedale e l’apertura alla società.
Nel 1977 all’interno dell’Ospedale Psichiatrico erano ancora ricoverati 630 degenti di cui 530 vivevano ancora all’interno dell’Ospedale, mentre gli altri 100, gli "ospiti, erano ufficialmente dimessi e alloggiati nelle case-famiglia. Gli infermieri erano pochi e intervenivano solamente in caso di reale bisogno e alcuni degli “ospiti” lavoravano sia dentro che fuori dall’Ospedale. Le case-famiglia rendevano autonomi gli ex-degenti che si autogestivano per prepararsi alla risocializzazione, per rompere i vincoli di istituzionalizzazione e per riassumersi la responsabilità della propria vita e delle proprie scelte.
Non tutti gli obiettivi furono raggiunti perché nonostante la maggiore libertà e autonomia, le case-famiglia erano comunque all’interno del complesso ospedaliero e i rapporti con gli operatori presenti avevano ancora caratteristiche manicomiali. Nonostante questo gli ex-ricoverati dimostrarono di non aver perso totalmente la capacità di autogestirsi; inoltre sempre più persone volevano provare questa esperienza. La novità non fu solamente per gli ex-degenti ma anche per gli operatori che avevano scoperto un nuovo modo di lavorare e non consideravano più il malato diverso e incapace. Gli “ospiti” stessi infine chiedevano più integrazione con il resto della popolazione, rendendosi conto che solo lavorando fuori dal manicomio avrebbero avuto l’occasione di vivere una vita reale.
Nell’aprile del 1900 la Congregazione affidò l’incarico di psichiatra a Luigi Scabia che, stipulando nuove convenzioni, fece arrivare ulteriori malati rendendo necessaria la costruzione di nuovi padiglioni per poterli accogliere: nel 1939 i malati raggiunsero la quota massima di 4794 unità.
Tra il 1902 e il 1909 Scabia incaricò l’ingegnere Filippo Allegri di redigere un piano di sviluppo edilizio che rendesse l'ambiente più simile ad un villaggio autonomo, dove l’ammalato non doveva sentirsi rinchiuso fra quattro mura ma, piuttosto, libero di girare nei pressi dell’ospedale e nella campagna circostante e partecipe alle numerose attività lavorative ideate nella struttura; Scabia contribuì quindi in modo originale alle pratiche di ergoterapia, ossia la terapia del lavoro, cercando di preparare il malato al reinserimento, quando possibile, nella società. Nel 1933 venne addirittura istituita una moneta ad uso esclusivo dei ricoverati lavoratori per gli acquisti presso l’Ospedale psichiatrico.
Poiché anche la ricreazione aveva una funzione importante, veniva organizzato il «Carnevale dei pazzi», a cui prendevano parte malati, infermieri e personale sanitario.
Scabia attuò anche la terapia del no-restrainct, limitando (ma non abolendo) i mezzi di contenzione fisica del malato.
Nel maggio 1934, in seguito all’abbassamento dell’età di pensionamento, Scabia venne messo d’autorità in pensione e sfrattato e, dopo pochi mesi, il 20 ottobre 1934 morì in seguito ad una crisi cardiaca: volle essere sepolto nel settore del cimitero nel quale si seppellivano i poveri dementi non reclamati dalle famiglie.
I successori di Scabia si attennero alle sue indicazioni e, in linea con la terapia dell’ergoterapia, nel 1950 alcuni ricoverati parteciparono agli scavi archeologici di Vallebona portando alla luce la galleria di collegamento fra la gradinata del teatro ed il vestibolo che fiancheggia la scena.
Non era però tutto rose e fiori; se da un lato le pratiche del "no-restrainct" e dell'ergoterapia sostenute da Scabia tendevano ad umanizzare gli ammalati, vigeva comunque la legge n. 36 del 14 febbraio 1904, che favoriva un rigido custodialismo di stampo carcerario in cui i malati venivano di frequente sedati in vasche riempite di ghiaccio, rinchiusi in isolamento all’interno di piccole stanze o comunque maltrattati, talvolta ingiustamente: gli infermieri venivano chiamati “guardie” o “superiori”, le finestre dei reparti erano protette da sbarre che di notte venivano chiuse a chiave e le lettere che i pazienti scrivevano ai familiari non venivano considerate da parte dei medici ma semplicemente raccolte nelle cartelle cliniche. L’immagine tipo lager che oggi abbiamo di questi ambienti, con grida, crisi di disperazione e maltrattamenti, è frutto proprio della sopracitata legge e della sua severa applicazione.
Dal 1963 iniziò tuttavia una lenta trasformazione sociale che mirava ad una nuova gestione organizzativa e terapeutica di tipo comunitario, volta a rompere il verticismo che gravava soprattutto sul malato; con l'operazione culturale chiamata "Volterra ‘73” alcuni artisti italiani e stranieri occuparono una struttura e realizzarono un laboratorio artistico, punto di aggregazione culturale. Ma il manicomio non accettava ancora il cambiamento, tanto che si produsse una rottura con gli organizzatori della manifestazione.
A partire dal 1973 il Consiglio di amministrazione dell’Ospedale Psichiatrico di Volterra, attraverso un accordo politico sottoscritto dai partiti politici della città e dal Consorzio delle due provincie di Pisa e Livorno, pose le basi per un reale processo di superamento dell’Ospedale Psichiatrico grazie alla realizzazione di diversi Comitati di gestione mirati a combattere il centralismo istituzionale di primari e medici dell’Ospedale che volevano mantenere inalterato il loro livello di potere. Ma il tentativo fallì: si irrigidirono i medici e gli operatori ancora fedeli al vecchio modello istituzionale e si creò una vera e propria lotta interna che culminò con lo smantellamento dei Comitati.
Con la Legge Basaglia n. 180 del 13 maggio 1978, vengono finalmente riconosciute le pratiche alternative sperimentate negli anni precedenti, ma i problemi da affrontare furono da subito molteplici: i malato, dopo aver trascorso lunghi anni di internamento nell'Ospedale Psichiatrico non sono infatti più in grado di vivere in società. Furono allora realizzate quattro case-famiglia in cui gli ex-ricoverati, ora detti “ospiti”, potessero sperimentare una sorta di passaggio tra la totale chiusura all’interno dell’Ospedale e l’apertura alla società.
Nel 1977 all’interno dell’Ospedale Psichiatrico erano ancora ricoverati 630 degenti di cui 530 vivevano ancora all’interno dell’Ospedale, mentre gli altri 100, gli "ospiti, erano ufficialmente dimessi e alloggiati nelle case-famiglia. Gli infermieri erano pochi e intervenivano solamente in caso di reale bisogno e alcuni degli “ospiti” lavoravano sia dentro che fuori dall’Ospedale. Le case-famiglia rendevano autonomi gli ex-degenti che si autogestivano per prepararsi alla risocializzazione, per rompere i vincoli di istituzionalizzazione e per riassumersi la responsabilità della propria vita e delle proprie scelte.
Non tutti gli obiettivi furono raggiunti perché nonostante la maggiore libertà e autonomia, le case-famiglia erano comunque all’interno del complesso ospedaliero e i rapporti con gli operatori presenti avevano ancora caratteristiche manicomiali. Nonostante questo gli ex-ricoverati dimostrarono di non aver perso totalmente la capacità di autogestirsi; inoltre sempre più persone volevano provare questa esperienza. La novità non fu solamente per gli ex-degenti ma anche per gli operatori che avevano scoperto un nuovo modo di lavorare e non consideravano più il malato diverso e incapace. Gli “ospiti” stessi infine chiedevano più integrazione con il resto della popolazione, rendendosi conto che solo lavorando fuori dal manicomio avrebbero avuto l’occasione di vivere una vita reale.
NOF4
BIOGRAFIA
Figlio di padre sconosciuto (indicato su tutti gli atti, come d'uso all'epoca, con la sigla NN) e di Concetta Nannetti, Oreste, all'età di sette anni, fu affidato a un'opera di carità e poi, a dieci anni, fu ricoverato in una struttura per persone affette da problemi psichici. A causa di una grave forma di spondilite, fu ricoverato per lungo tempo all'ospedale Carlo Forlanini.
Non si hanno notizie precise sulla sua vita fino al 1948, quando fu processato per oltraggio a pubblico ufficiale, accusa dalla quale fu prosciolto il 29 settembre dello stesso anno per vizio totale di mente. Trascorse i successivi anni nell'ospedale psichiatrico di Santa Maria della Pietà a Roma, prima di essere trasferito, nel 1958, nell'ospedale psichiatrico di Volterra.
Nel 1959 fu trasferito nella sezione giudiziaria "Ferri" del complesso volterriano.
Dal 1961 al 1967 fu invece nella sezione civile "Charcot" del manicomio, per poi tornare al "Ferri" fino al 1968.
Fu affidato alternativamente alle due strutture fino alla dimissione.
Nel 1973 fu assegnato all'Istituto Bianchi e, come molti altri ex-pazienti, visse a Volterra fino alla morte, avvenuta nel 1994
COMUNICAZIONE COL MONDO
Nannetti scrisse un gran numero di lettere e cartoline a parenti immaginari, firmandosi con le sigle Nanof, Nof o Nof4 e definendosi, senza soluzione di continuità, Astronautico Ingegnere Minerario, colonnello astrale, scassinatore nucleare o Nannettaicus Meccanicus - santo della cellula fotoelettrica. La sigla NOF venne da lui stesso risolta, di volta in volta, come "Nannetti Oreste Ferdinando" o "Nucleare Orientale Francese" o, ancora, "Nazioni Orientali Francesi", mentre il «4» costituiva il riferimento alla matricola che aveva ricevuto all'entrata della struttura.
Negli anni di degenza al Ferri, Nannetti incise una serie di graffiti sugli intonaci del complesso, utilizzando le fibbie delle cinture che facevano parte della divisa degli internati. Uno, lungo 180 metri e alto in media due, correva intorno al padiglione dell'istituto. L'altro, lungo 102 metri e alto in media 20 centimetri, occupava il passamano in cemento di una scala. I due cicli erano organizzati come un sorta di racconto per immagini.
I graffiti hanno per tema visionari racconti fantascientifici spesso incoerenti o di difficile interpretazione.
Fra i testi è possibile leggere:
« io sono un astronautico ingegnere minerario nel sistema mentale »
(Trascrizioni a cura di A. Trafeli)
« il vetro le lamiere i metalli il legno le ossa dell’essere umano e animale e l’occhio e lo spirito si controllano attraverso il riflessivo fascio magnetico catotico »
(Trascrizioni a cura di A. Trafeli)
« grafico metrico mobile della mortalità ospedaliera 10% per radiazioni magnetiche teletrasmesse 40% per malattie varie trasmesse o provocate 50% per odi e rancori personali provocati o trasmessi »
(Trascrizioni a cura di A. Trafeli)
« amo il mio essere materiale come me stesso »
(Trascrizioni a cura di A. Trafeli)
Nei "racconti" Nannetti afferma di poter comunicare telepaticamente con alieni (definiti alti, spinacei, naso ad Y) e narra la conquista di mondi sconosciuti e terribili guerre combattute con armi altamente tecnologiche in cui si intrecciano magie alchemiche, selve di tralicci metallici e antenne.
LA RISCOPERTA DI NOF4
A seguito della legge Basaglia, il manicomio fu chiuso nel 1979. Nel 1980 l'ex infermiere Aldo Trafeli, riconoscendo l'importanza dell'opera di Nannetti, commissionò al fotografo Pier Nello Manoni delle riproduzioni fotografiche dei graffiti, oggi conservate nel museo Lombroso di Volterra. Nel 1985 l'Unità sanitaria locale numero 15 della Toscana acconsentì alla pubblicazione del volume N.O.F. 4 Il Libro della Vita, a cura di M. Trafeli, con le trascrizioni di A. Trafeli e le foto di Manoni.
A Nannetti venne riconosciuto un compenso di due milioni di lire. Nannetti non gradì la ricompensa, manifestando, invece, apprezzamento per l'articolo pubblicato dal settimanale «l'Espresso» il 14 settembre 1986, firmato da Antonio Tabucchi e dal titolo Caro muro ti scrivo.
Nel 1998 i graffiti sono stati filmati ed inseriti nel film Prima la musica, poi le parole di Fulvio Wetzl, in alcune sequenze narrative e, soprattutto, anche a scopo di memoria visiva, integralmente filmati in pianosequenza sotto i titoli di coda del film.
Lo Studio Azzurro dedicò all'opera di Nannetti un film-documentario, intitolato L'osservatorio nucleare del signor Nanof, girato da Paolo Rosa. Negli anni si sono susseguite diverse mostre e convegni dedicati a quello che viene oggi considerato un raro e importante esempio di Art Brut.
Le lettere e gli scritti di Nannetti (circa 1700 pagine), in ossequio alle normative vigenti, furono distrutti dopo la sua morte, non essendoci alcun parente in vita che potesse reclamarne la proprietà. Erano, tuttavia, stati fotocopiati per tempo.
I graffiti, dopo la chiusura e l'abbandono dell'ospedale psichiatrico, sono andati incontro a un rapido deterioramento; al 2011 si stima che ne rimangano integri solo 53 metri.
Al 21.03.2012 i graffiti, anche se coperti da una tettoia in lamiera, in modo alquanto precario per lo scopo di volerli preservare nel tempo, sono vistosamente danneggiati e rimangono ancor meno di quei 53 metri. ed ogni giorno che passa un pezzo di quel muro si stacca, cancellando in modo definitivo quest'opera unica.
Fonti
NOF4 - Tratto da wikipedia
Figlio di padre sconosciuto (indicato su tutti gli atti, come d'uso all'epoca, con la sigla NN) e di Concetta Nannetti, Oreste, all'età di sette anni, fu affidato a un'opera di carità e poi, a dieci anni, fu ricoverato in una struttura per persone affette da problemi psichici. A causa di una grave forma di spondilite, fu ricoverato per lungo tempo all'ospedale Carlo Forlanini.
Non si hanno notizie precise sulla sua vita fino al 1948, quando fu processato per oltraggio a pubblico ufficiale, accusa dalla quale fu prosciolto il 29 settembre dello stesso anno per vizio totale di mente. Trascorse i successivi anni nell'ospedale psichiatrico di Santa Maria della Pietà a Roma, prima di essere trasferito, nel 1958, nell'ospedale psichiatrico di Volterra.
Nel 1959 fu trasferito nella sezione giudiziaria "Ferri" del complesso volterriano.
Dal 1961 al 1967 fu invece nella sezione civile "Charcot" del manicomio, per poi tornare al "Ferri" fino al 1968.
Fu affidato alternativamente alle due strutture fino alla dimissione.
Nel 1973 fu assegnato all'Istituto Bianchi e, come molti altri ex-pazienti, visse a Volterra fino alla morte, avvenuta nel 1994
COMUNICAZIONE COL MONDO
Nannetti scrisse un gran numero di lettere e cartoline a parenti immaginari, firmandosi con le sigle Nanof, Nof o Nof4 e definendosi, senza soluzione di continuità, Astronautico Ingegnere Minerario, colonnello astrale, scassinatore nucleare o Nannettaicus Meccanicus - santo della cellula fotoelettrica. La sigla NOF venne da lui stesso risolta, di volta in volta, come "Nannetti Oreste Ferdinando" o "Nucleare Orientale Francese" o, ancora, "Nazioni Orientali Francesi", mentre il «4» costituiva il riferimento alla matricola che aveva ricevuto all'entrata della struttura.
Negli anni di degenza al Ferri, Nannetti incise una serie di graffiti sugli intonaci del complesso, utilizzando le fibbie delle cinture che facevano parte della divisa degli internati. Uno, lungo 180 metri e alto in media due, correva intorno al padiglione dell'istituto. L'altro, lungo 102 metri e alto in media 20 centimetri, occupava il passamano in cemento di una scala. I due cicli erano organizzati come un sorta di racconto per immagini.
I graffiti hanno per tema visionari racconti fantascientifici spesso incoerenti o di difficile interpretazione.
Fra i testi è possibile leggere:
« io sono un astronautico ingegnere minerario nel sistema mentale »
(Trascrizioni a cura di A. Trafeli)
« il vetro le lamiere i metalli il legno le ossa dell’essere umano e animale e l’occhio e lo spirito si controllano attraverso il riflessivo fascio magnetico catotico »
(Trascrizioni a cura di A. Trafeli)
« grafico metrico mobile della mortalità ospedaliera 10% per radiazioni magnetiche teletrasmesse 40% per malattie varie trasmesse o provocate 50% per odi e rancori personali provocati o trasmessi »
(Trascrizioni a cura di A. Trafeli)
« amo il mio essere materiale come me stesso »
(Trascrizioni a cura di A. Trafeli)
Nei "racconti" Nannetti afferma di poter comunicare telepaticamente con alieni (definiti alti, spinacei, naso ad Y) e narra la conquista di mondi sconosciuti e terribili guerre combattute con armi altamente tecnologiche in cui si intrecciano magie alchemiche, selve di tralicci metallici e antenne.
LA RISCOPERTA DI NOF4
A seguito della legge Basaglia, il manicomio fu chiuso nel 1979. Nel 1980 l'ex infermiere Aldo Trafeli, riconoscendo l'importanza dell'opera di Nannetti, commissionò al fotografo Pier Nello Manoni delle riproduzioni fotografiche dei graffiti, oggi conservate nel museo Lombroso di Volterra. Nel 1985 l'Unità sanitaria locale numero 15 della Toscana acconsentì alla pubblicazione del volume N.O.F. 4 Il Libro della Vita, a cura di M. Trafeli, con le trascrizioni di A. Trafeli e le foto di Manoni.
A Nannetti venne riconosciuto un compenso di due milioni di lire. Nannetti non gradì la ricompensa, manifestando, invece, apprezzamento per l'articolo pubblicato dal settimanale «l'Espresso» il 14 settembre 1986, firmato da Antonio Tabucchi e dal titolo Caro muro ti scrivo.
Nel 1998 i graffiti sono stati filmati ed inseriti nel film Prima la musica, poi le parole di Fulvio Wetzl, in alcune sequenze narrative e, soprattutto, anche a scopo di memoria visiva, integralmente filmati in pianosequenza sotto i titoli di coda del film.
Lo Studio Azzurro dedicò all'opera di Nannetti un film-documentario, intitolato L'osservatorio nucleare del signor Nanof, girato da Paolo Rosa. Negli anni si sono susseguite diverse mostre e convegni dedicati a quello che viene oggi considerato un raro e importante esempio di Art Brut.
Le lettere e gli scritti di Nannetti (circa 1700 pagine), in ossequio alle normative vigenti, furono distrutti dopo la sua morte, non essendoci alcun parente in vita che potesse reclamarne la proprietà. Erano, tuttavia, stati fotocopiati per tempo.
I graffiti, dopo la chiusura e l'abbandono dell'ospedale psichiatrico, sono andati incontro a un rapido deterioramento; al 2011 si stima che ne rimangano integri solo 53 metri.
Al 21.03.2012 i graffiti, anche se coperti da una tettoia in lamiera, in modo alquanto precario per lo scopo di volerli preservare nel tempo, sono vistosamente danneggiati e rimangono ancor meno di quei 53 metri. ed ogni giorno che passa un pezzo di quel muro si stacca, cancellando in modo definitivo quest'opera unica.
Fonti
NOF4 - Tratto da wikipedia
Per chi volesse lasciate un commento, sempre
gradito, questo è il link per la relativa pagina sul blog:
http://photomatteobini.weebly.com/1/post/2012/11/manicomio-di-volterra.html
gradito, questo è il link per la relativa pagina sul blog:
http://photomatteobini.weebly.com/1/post/2012/11/manicomio-di-volterra.html